Nasce a Milano nel 1925. Comincia da autodidatta a scolpire opere in pietra, affascinato dalla materia delle cave dell’Ossola, dove trascorre lunghi periodi. Terminati gli studi classici, frequenta i corsi di scultura all’Accademia di Brera a Milano, sotto la guida di Marino Marini. Di quel periodo sono le sue prime importanti mostre di gruppo nelle principali città italiane.
Dal 1950 al 1958 soggiorna spesso in Versilia: lavora il marmo delle Apuane e modella figure e ceramiche nelle fornaci di Viareggio. Intraprende lunghi viaggi all’estero, in particolare a Parigi, dove ha uno studio. Intensifica i viaggi e i contatti con artisti e gallerie in diverse nazioni, segue con interesse le proposte dell’arte informale, ma non è collocabile entro una cerchia definita, distinguendosi dagli artisti cresciuti con lui.
Esordisce nel 1949 partecipando alla grande mostra di scultura Premio Internazionale Città di Varese allestito a Villa Mirabello e nel 1950 partecipa al Concorso d’arte contemporanea presso la Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma.
È del 1952 la sua prima personale a Milano. Da allora è presente alle più significative manifestazioni d’arte internazionali. Di seguito è presente alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Venezia e alla Biennale di scultura di Carrara. A partire dagli anni Sessanta incomincia una intensa attività espositiva in tutta Europa: Bruxelles, Düsseldorf, Stoccarda, Locarno, Basilea, Colonia, Friburgo. Nel 1960 è presente anche al Salon des Réalitées di Parigi e nel 1964 è di nuovo invitato alla Biennale di Venezia.
Ha esposto in Francia, ex–Jugoslavia, Israele, Belgio, Svizzera, Svezia, Stati Uniti, Messico, Argentina e in Italia nelle maggiori città d’arte.
L’interesse per le arti primitive, lo avvicina all’Africa dei Dogon e proprio in Mali viene a contatto con la realtà cultuale delle maschere. Dopo l’Africa, è la volta di un viaggio in Oceania che lo porta lungo il corso del fiume Sepik ad avvicinarsi ai lavori degli scultori della Nuova Guinea.
Le opere di Giancarlo Sangregorio sono custodite in raccolte private e pubbliche italiane ed estere; numerosi anche i monumenti in diverse città europee. Convinto sostenitore dell’idea che l’arte sia un avvenimento e non una categoria, ha sempre evitato la sterile autoriflessività formalistica, sottraendosi alla ripetitività.
Tutta la sua produzione non segue una logica consequenzialità, ma ha in sé il senso dell’andare oltre. L’artista, secondo Sangregorio, deve restare al di fuori del processo che si sviluppa, lo rende possibile, ma non lo determina. Tutti i lavori sfuggono alla definizione di scultura tradizionale e ne mettono in discussione l’idea e la possibilità stessa di esistere. I criteri abituali di orientamento sono divelti; ogni scelta di Sangregorio è un evento che apre altre prospettive, dagli elementi plastici in gommapiuma, alle pitture rupestri materializzate tra le rocce, dall’esperimento della pietra levitante, ai carboni e ai legni bruciati, sino al vetro che sublima la materia e libera dal peso, e all’uso del feltro.
Il discorso sui feltri si collega ad approfondimenti dell’artista sulla cultura dei popoli indoeuropei, tali da condurlo intorno agli anni Settanta lungo le rotte della “via della seta”, attraverso Kirghizistan e Uzbekistan, passando per Samarcanda e Bukhara. Significativa anche la ricerca sulle Impronte, esposte alla Fondazione Mudima di Milano nel 1994, con pubblicazione di un libro introdotto da E. Baj e R. Sanesi.
Giancarlo Sangregorio ha vissuto e lavorato a Sesto Calende fino al 2013, nella casa-atelier oggi sede della Fondazione da lui voluta per sostenere e divulgare la sua opera.